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martedì, 11 Marzo 2025

La donna nella Chiesa dalla Creazione a Francesco (IV)

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di Vittorino Merinas

Se Tommaso d’Aquino rifacendosi al suo maestro Aristotele non ebbe remore a ritenere la donna un “maschio non riuscito” a tal punto che anche “l’immagine di Dio è presente nell’uomo in maniera dissimile che nella donna”, si può indurre che tale convinzione fosse largamente partecipata. A dimostrarlo sta il fatto che ancora nel XVII° secolo il noto predicatore e vescovo francese Jacques Bénigne Bossuet dichiarava, senza timore d’essere ribattuto, che la donna è il “prodotto di un osso in soprannumero”. Ovviamente non un osso qualsiasi, ma osso del marito, con le pesanti conseguenze su di lei già antecedentemente rimarcate in questa ricerca e sostenute dall’insegnamento della chiesa fino a tempi non lontani, nonostante le progressive acquisizioni valoriali e posizionali della donna nella società. 

Tra le negatività maggiormente sottolineate dalla chiesa nella donna, signoreggia la sua pericolosità morale. E’ la tentatrice per antonomasia, delineata, fin dal IV° secolo, da Giovanni Crisostomo, un santo d’eccellenza che così scriveva: “Che cos’altro è la donna se non la nemica dell’amicizia, la pena da cui non si può sfuggire, il male necessario, la tentazione naturale, la calamità desiderabile, il pericolo domestico, il danno dilettevole, il male di natura, dipinte a tinte vivaci?” In tempi recenti, papa Giovanni XXIII fin da giovane sacerdote, per sfuggire alla seduzione muliebre così si era impegnato a rapportarsi col sesso tanto gentile quanto insidioso: “Con donne di qualunque condizione, siano pure parenti o sante, avrò un riguardo speciale, fuggendo dalla loro famigliarità, compagnia o conversazione come dal diavolo.” Un richiamo-raffronto indubbiamente pesanti, quasi la donna fosse per natura un tappeto scivoloso per la santità dell’ingenuo incolpevole maschio. La compagna della sua vita poco meno del diavolo mascherato al femminile! Un concetto perdonabile in un sant’uomo dalle ricche umane qualità qual era papa Roncalli, ma tremebondo al solo pensiero d’una possibile violazione della castità promessa.

Anche per la chiesa, però, dir donna non è solo e sempre dire danno. C’è uno spazio dove il suo ruolo è centrale, nel quale ella esprime tutte le sue positività ed è la “domus”, la casa con i suoi molteplici impegni “domestici” gravanti su di lei unitamente alla responsabilità dell’allevamento e dell’educazione della prole. Leone XIII nell’enciclica Rerum Novarum poneva il sacro sigillo su questo pesante, irriducibile destino femminile, decretando che le donne “sono fatte da natura per i lavori domestici che grandemente proteggono l’onestà del sesso debole”. Ci si aspetterebbe, per alleggerire un’affermazione pensata forse come esaltazione, ma che sa più di condanna, che il pontefice ad essa facesse seguire, accogliendolo, il detto corrente che “la donna è la regina della casa”. Illusione e delusione ad un tempo, giacché questa regalità il papa l’assegna, senza esitazione alcuna, al maschio: “Il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie, la quale, dato che è carne della carne di lui e osso delle sue ossa, deve essere soggetta e obbediente al marito non come ancella, ma come compagna”. Infine, qualcosa le è pur riconosciuto! Comunque, una visione complessiva delle donne ed un orientamento dottrinale talmente sicuri e sicuramente immutabili per divina volontà, da spingere Pio XII a rivolgere ad esse, in uno dei suoi celebri discorsi, un’accorata supplica: “O spose e madri cristiane, mai non vi sorprenda la sete di usurpare lo scettro della famiglia… Molte voci vi ripeteranno che voi siete in tutto uguali ai vostri mariti… Alle voci serpentine, tentatrici, non siate altrettante Eve.”

Una gloria, però, rifulge perenne nell’Eva non ancora sedotta seduttrice: la maternità, “madre nel senso fisico o in un significato più spirituale ed elevato, ma non meno reale”, specifica papa Pacelli. Un fulgore tanto più sfavillante quanto più Eva è generosa nel comunicare la vita. “Una culla consacra la madre di famiglia e più culle la santificano e glorificano innanzi al marito e ai figli, innanzi alla chiesa e alla patria”, prospettava il pontefice alle spose cattoliche.

Ad apportare elementi innovativi alla visone chiesastica sulla condizione femminile che aprivano ad essa la porta di casa liberandola almeno per qualche momento da culle e pentole per dare un’occhiata e magari un apporto alla vita publica, è stato il già menzionato Giovanni XXIII, attento sì a non lasciarsi invischiare dalla fascinazione femminile, ma anche al dipanarsi della storia cogliendone le mutazioni. Annotava, infatti, nell’enciclica Pacem in terris, che nella donna “diviene sempre più chiara ed operante la coscienza della propria dignità… Esige di essere considerata come persona tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica”. Un’annotazione che confluirà nella Costituzione Gaudium et spes del Concilio Vaticano II: “Le donne rivendicano, là dove non l’hanno ancora raggiunta, la parità con gli uomini, non solo di diritto, ma anche di fatto.”  Si trattava, ora, per la chiesa, di trarne le conseguenze. (4, continua)

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