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domenica, 8 Settembre 2024

I cocci di Piazza San Carlo

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Redazione
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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Alla fine la domanda che aleggia in una Sala Rossa con il pubblico delle grandi occasioni  l’ha posta la consigliera Eleonora Artesio, consigliera del gruppo Torino in Comune – La sinistra rivolgendosi alla Sindaca: «Lei ha espresso solidarietà alle vittime a nome della comunità che rappresenta, ma è sicura che la comunità si senta ancora rappresentata da lei?». Le opposizioni, come era ragionevolmente prevedibile, hanno alzato il tiro nel corso del dibattito in Consiglio Comunale sui fatti di Piazza San Carlo di sabato scorso, chi chiedendo direttamente le dimissioni della sindaca, chi l’individuazione dei responsabili e la conseguente rimozione dai loro incarichi, chi la richiesta di dimissioni del prefetto o del questore da parte di Appendino «qualora ravveda in loro e non in sé stessa il vero responsabile». Ma i richiami più emotivamente forti sono arrivati da Piero Fassino, che ha invitato la sua succcessora ad «iniziare ad assumersi le proprie responsabilità senza dare colpe ad altri, solitamente a me,  perché adesso è lei il sindaco» e dal capogruppo del Pd Stefano Lorusso che, anziché chiederne le dimissioni, s’è limitato ad invitarla a chiedere scusa alla Città, scuse che poi nella telegrafica replica Chiara Appendino si è guardata bene dal porre.
E così, a fianco di quelli che hanno ferito millecinquecento persone sabato scorso in Piazza San Carlo, si sono andati ad accumulare una serie di nuovi cocci che la discussione in aula e le polemiche di queste ore hanno lasciato lungo il cammino dell’amministrazione pentastellata.
Perché sono andati in frantumi alcuni miti, o luoghi comuni, ad iniziare dal “si è sempre fatto cosi”: la percezione dell’insicurezza, come l’ha definita l’Artesio, la paura che è stata indotta a questo tempo e a questo mondo, impongono un’organizzazione, un’attenzione e misure di sicurezza che fino a due anni fa non si potevano neanche immaginare se vogliamo continuare a vivere gli spazi delle nostre città e se vogliamo condividere momenti di socializzazione collettiva. E non si può più continuare a dire che la colpa è di qualcun altro: in un tempo in cui i populisti si nutrono di caccia al colpevole, è il momento di riscoprire l’etica della responsabilità, tenuto conto che una città non va avanti con il pilota automatico e che se si ci candida a governare poi bisogna farlo. Ed infine va in frantumi l’immagine di una Torino “che non è Roma”: i siti di tutto il mondo hanno titolato “stampede in Turin”; quello stampede, la fuga improvvisa di una mandria spaventata nel gergo dei cowboys, rischia di travolgere un’idea di Città viva, vivace, ben amministrata, efficiente, che con fatica Torino si era costruita in Italia e nel mondo.
Anche questi cocci vanno rimossi in fretta

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