Riceviamo e pubblichiamo:
Mi sono accorta di essere davvero invecchiata una domenica primaverile di tre anni fa. Camminavo con Lorenzo in passeggino lungo il fiume e li ho visti: un gruppo di ragazzi che usciva dai Murazzi, irriducibili del sabato sera che scambiavano le mie dieci di mattina per la loro alba.
E forse qui c’è bisogno di aprire una piccola parentesi per chi legge fuori dai confini sabaudi. I Murazzi, oltre ad essere il posto dove la consapevolezza della vecchiaia mi ha colto una domenica primaverile, sono anche il luogo dove è nata e cresciuta la mia gloriosa e ormai defunta vita notturna. Sono le arcate lungo il Po che ospitavano quella che giornalisti ancora più vecchi di me, ma soprattutto più stanchi, si ostinano a chiamare movida torinese. Qui dovrei aprire una seconda parentesi perché il termine movida mi provoca lo stesso fastidio epidermico, la stessa vertigine che mi dava la parola spinellarsi sulle labbra della mia genitrice.
Comunque, se volessi tentare una definizione definitiva dei Murazzi direi che è dove, a fine serata, incontravi di sicuro il tizio che avevi cercato senza successo per tutto il resto della città. Se volessi dilungarmi direi che Torino ha una strana tendenza a fingersi un’altra, il Quadrilatero Romano per esempio si crede Parigi, San Salvario si crede Kreuzberg a Berlino, i Murazzi non fingevano, erano davvero Torino. E infatti sono stati chiusi, un anno e mezzo fa.
Da due mesi vado in ufficio in bici, passando per i Murazzi. Non incontro mai nessun ragazzo che scambia le mie otto per la sua alba, ma la cosa non mi fa sentire più giovane, in compenso fa sentire più vecchia Torino.
da http://tiasmo.wordpress.com
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