Premesso che il mezzo delle Primarie aperte per la scelta del segretario, cioè, il massimo responsabile di tutta un’organizzazione che dovrebbe avere come asse portante l’adozione di un fine, non solo non mi convince, ma lo considero assurdo, poiché produce oggettivamente un partito leggero, anzi, leggerissimo, a vocazione esclusivamente elettorale.
Quando si fa appello ad una opinione pubblica senza confini, ci si rivolge ad essa senza un’identità, blandendola per un verso e per un altro e il tutto viene tenuto assieme dal mito del capo, dell’uomo solo al comando, dell’Io ipertrofico di una persona, potrebbe riservare amare sorprese.
Ma ormai il dado è tratto e sarebbe sciocco, anzi, sbagliato, attardarsi su questa questione.
Domenica prossima centinaia di migliaia di italiani (l’obiettivo è di due milioni) si recheranno ai gazebo per scegliere tra Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Pippo Civati.
Li abbiamo visti l’altra sera alla televisione nel confronto diretto e l’impressione che hanno offerto è stata tutt’altro che deludente. Anzi. Finalmente un confronto pacato, con volti anche sorridenti, l’esatto opposto delle facce trucide che il mondo della politica ci mostra da qualche tempo.
In novanta secondi, sia pure a più riprese, non è possibile esporre grandi concetti, valori e intenzioni programmatiche, ma, i tre aspiranti segretari del Pd sono riusciti a farci capire le differenze che li distinguono, lo spessore culturale, la chiarezza delle opinioni, le linee su cui intendono muoversi.
Chi li ha ascoltati avrà tratto sicuramente, secondo le proprie sensibilità, gli elementi per un giudizio valido, per una scelta. Fattore di cui penso che buona parte di coloro che andranno ai gazebo saranno privi, poiché sarà prevalente in loro la componente mediatica, emotiva, la simpatia per le battute, le metafore, gli slogan.
Da rimarcare infine la fermezza con cui tutti e tre i candidati hanno espresso sulle loro scelte. Direi inversamente proporzionale a quanto sta dimostrando il gruppo dirigente del Pd in Piemonte, in merito alla crisi che ha travolto la Regione, capitanata dal leghista Cota.
Non è ancora stata assunta una sola iniziativa all’esterno di Palazzo Lascaris e in tutti quei Comuni piemontesi dove i Democratici hanno un insediamento.
L’opinione pubblica, i cittadini sono caparbiamente tenuti fuori, anziché coinvolgerli con tutti gli strumenti che la democrazia ci offre.
Tra meno di una settimana dovrebbe essere a Torino Beppe Grillo: sicuramente sarà pronto tra un “vaffa…” e un altro ad indossare i panni di chi ha saputo sloggiare Cota. Bel risultato.
Per quanto riguarda il governo (aldilà della richiesta di Napolitano di un “passaggio parlamentare”) cosa attende Enrico Letta ad assumere alcuni immediati provvedimenti che diano non solo il segno di un minimo di cambiamento, ma che portino un po’ di sollievo per milioni di famiglie?
Ne indico tre:
1) anziché elargire l’elemosina di 19 euro mensili ai lavoratori (cuneo fiscale) perchè l’intero ammontare della spesa non viene investito per lavori di pubblica utilità (mettere in sicurezza le sponde dei fiumi – vedi Sardegna – edifici scolastici, ospedali, etc.)? Con tale cifra si può assicurare entro pochi mesi un lavoro per qualche decina di migliaia di disoccupati
2) i lavori pubblici siano assegnati con il criterio “dell’imponibile di manodopera” vale dire assegnandoli tramite regolari gare d’appalto a quelle imprese che s’impegnano ad assumere immediatamente un certo numero di lavoratori. Le clausole sulla concorrenza fissate a Lisbona possono essere bypassate.
3) immediato decreto legge per il blocco degli sfratti per almeno dodici mesi, tanto da superare l’inverno.
Non è un provvedimento bolscevico, tendente a colpire i proprietari di casa. Si tratta di un atto di umanità per decine di migliaia di famiglie.
Lo aveva assunto tanti anni fa un governo presieduto da un antico dirigente della Democrazia Cristiana, che sicuramente Enrico Letta, sia pure in tenera età, avrà conosciuto: si chiamava Amintore Fanfani.
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