di Maria Grazia Sestero
La Repubblica italiana nasce nel 1946 con un voto popolare ampio (votò l’89,1%), in cui prevale la scelta della repubblica, anche se una parte non piccola del Paese sceglie la conservazione di quella monarchia che ci aveva trascinati nella dittatura e in una guerra disastrosa. L’esito del referendum a favore della repubblica dà inizio alla costruzione del nuovo Stato, di cui l’Assemblea Costituente deve dettare le regole. Dell’Assemblea Costituente fanno parte uomini e donne (poche queste, per altro) che hanno fatto la Resistenza, combattuto il fascismo, patito l’esilio e il confino.
E’ una generazione nuova (non per età), estranea ai poteri economici e finanziari e ai ceti che avevano governato l’Italia prima del fascismo e ne avevano favorito l’ascesa. Per questo la Repubblica e la Costituzione rappresentano una rottura col passato e l’inizio della storia dell’Italia antifascista. La novità è rappresentata dalle prime esperienze nel Nord di Giunte Popolari nominate dal C.L.N., dal suffragio per la prima volta universale, perché votano le donne, dalla presenza nel Paese di grandi partiti popolari di massa: D.C., P.S.I, P.C.I. L’unita d’intenti che ha caratterizzato la Lotta di Liberazione non dura moltissimo: nel maggio del ’47 il PCI viene escluso dal Governo De Gasperi.
Tuttavia, nonostante l’aprirsi della guerra fredda tra le potenze, la conventio ad excludendum nei confronti del PCI e la paura del comunismo con l’allegata caccia alle streghe, per i partiti del cosiddetto arco costituzionale resta un tratto comune: la partecipazione alla Resistenza. L’antifascismo è la matrice dei partiti nuovi (per alcuni talvolta sottaciuta) e l’Italia, nonostante il riaffiorare di tentazioni autoritarie in diverse forme, resta un Paese che celebra la sua storia il 25 aprile, festa Nazionale della Liberazione.
Trovate l’articolo integrale sul numero 9 del 15/9/2016 del mensile Nuovasocietà, in edicola e su abbonamento.