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La moglie di Cesare…

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Sulla vicenda Cancellieri-famiglia Ligresti si è scatenata l’ennesima polemica politica dietro la quale ci sono evidenti obiettivi che vanno oltre lo specifico giudizio da dare al comportamento della ministra della Giustizia.
Molti sono i punti sui quali varrebbe la pena soffermarsi, buon ultimo un misterioso parere diffuso da via Arenula dove ha sede il ministero della Giustizia, nel quale si mette sotto accusa la Procura della Repubblica di Torino rea di aver violato alcune norme nella procedura seguita nel corso dell’indagine svolta sulla telefonate intercorse tra la ministra e congiunti vari della famiglia bancarottiera.
A questo riguardo è sufficiente leggere la replica del procuratore generale Maddalena e un dottissimo intervento del professor Carlo Federico Grosso, già docente di Diritto Penale all’Università di Torino, pubblicato stamane su “La Stampa” per definire, non solo inopportuni, ma privi di ogni fondamento giuridico, i rilievi critici rivolti alla Procura.
Di peso politico sono invece le diverse valutazioni espresse dai componenti della maggioranza che sostiene il governo e tra questi quelli del Pd.
Ovvio e scontato l’alzo a zero dei grillini che mirano al bersaglio grosso, cioè il governo Letta. Speculare a Grillo l’atteggiamento di tutti gli esponenti della destra berlusconiana, quelli di prima e di dopo la cura forza-italiota imposta dal Cavaliere.
La ministra deve rimanere al suo posto. Punto e basta. D’altra parte la sensibilità di questi esponenti politici sui temi della morale pubblica è molto più debole di quanto ne possa possedere una putrella ferroviaria.
Nel Pd invece ci sono pareri discordi anche se i quattro candidati alle primarie, forse avvertendo il clima interno al partito, hanno chiesto alla Cancellieri di fare un passo indietro.
Il giovane e simpatico Beppe Civati è andato oltre: ha annunciato una sua mozione di sfiducia prima ancora che si pronunciasse al riguardo l’assemblea dei parlamentari del suo gruppo già convocata per domani.
Giustamente, a nostro avviso, il viceministro Fassina ha criticato questa iniziativa poiché il gruppo parlamentare di un partito che si rispetti deve osservare una certa disciplina: non è l’Armata Brancaleone che marcia a ranghi sparpagliati. È pur vero che i tempi sono cambiati, come ha ricordato il sindaco di Torino in un’assemblea congressuale per le primarie affermando che se mai si dovesse scegliere un simbolo per il suo partito al posto della vecchia falce e martello oggi ci sarebbero un computer e il marchio Slow Food.
Avanti popolo!
Ma tornando alla Cancellieri era ed è tutt’ora auspicabile una sua iniziativa personale. Quando si ricopre un incarico pubblico tra gli oneri figurano anche certi comportamenti privati che possono costare dei sacrifici personali.
È mai possibile che in Italia questa linea di rigore non debba essere scrupolosamente rispettata? Inutile in questa sede snocciolare per l’ennesima volta i casi accaduti in Francia, in Inghilterra, in Germania.
Le autonome dimissioni della ministra non tolgono nulla alle sue qualità unanimemente conosciute e dimostrate nella sua ammirevole carriera di prefetto e di commissario al comune di Bologna.
«La moglie di Cesare…», dice un vecchio adagio, «deve sempre e comunque essere al di sopra di ogni sospetto» anche se giungono dal Colle più alto inopportuni messaggi.

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