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domenica, 9 Marzo 2025

La dittatura della Corea del Nord. Una grande caserma, sempre più lontana da Seul, amica di Putin

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

Si sono imbufaliti per i volantini contro il regime che i droni leggeri di Seul hanno fatto piovere sulle città nord coreane e, per risposta, oltre al consueto scarico di immondizia con centinaia di palloni aerostatici verso la Corea del Sud, hanno fatto saltare con l’esplosivo alcuni dei pochi collegamenti  tra i due paesi, minacciando ritorsioni sul piano militare.  Nei volantini si riferiva anche delle straordinarie ricchezze del luminoso Kim Jong II, al potere dal 2012, in un paese isolato e poverissimo, in cui tutti i mezzi di produzione sono in mano allo Stato, dai cui è difficile ottenere informazioni e dal quale è quasi impossibile fuggire

A complicare un clima internazionale quanto mai teso ci mancava la Corea del Nord.  

Uno stato dominato in modo patriarcal-stalinista da generazioni di leader con un culto della personalità assoluto in cui il tempo sembra fermato. Non a caso il suo capostipite Kim II sung, che ha governato dal 1948 al 1994, viene chiamato presidente eterno, e l’erede Kim jong Il, al potere dal 2012, continua sulla linea dei predecessori tra adunate plaudenti, parate militari e lanci di missili che sorvolano e preoccupano il vicino Giappone. Il tutto in un contesto di miseria diffusa in un paese bellissimo, iper controllato, represso e isolato che vanta il quarto esercito più numeroso nel mondo (oltre 1.200mila uomini e 8 milioni di riservisti, su una popolazione di 26 milioni di abitanti, con il sogno conquistare Seul), dove un quinto del Pil è per le spese militari, mentre la gente vive di stenti e in cui i mezzi di produzione sono tutti in mano allo Stato. 

Un quadro di miseria diffusa a fronte di una ristretta burocrazia al potere ricca e atroce verso chi solo osa  sollevare la minima critica. Parlare di libertà di stampa, di opinione qui è un’eresia.  Solo il nostro simpatico ex senatore Antonio Razzi (in parlamento dal 2006 al 2018) ha trovato amichevole questa realtà grazie ad un rapporto privilegiato con il suo leader maximo. 

La Corea del Nord è tornata alla cronaca, oltre per i palloni che gettano immondizia sull’odiata Seul, per il nuovo feeling con Mosca fissato nei recenti accordi di  partenariato strategico, con mutua difesa e assistenza  militare, firmati a giugno da Putin e Kim Jong. Un’intesa che per la Corea del Nord costituisce un appoggio importante in vista di uno scontro con Seul. Alla Russia l’accordo assicura forniture militare (proiettili) e un potenziale impiego di centinaia di soldati con gli occhi a mandorla nella guerra in Ucraina. 

 Il regime di Pyongyang è sempre sopravvissuto soprattutto grazie al forte legame economico con la Cina (90% degli scambi commerciali) che, in questa fase di nuove turbolenze, si è pronunciata ufficialmente per un calo dei toni da tutte le parti.

Mosca invece, con i suoi pronunciamenti via Telegram, ha fermamente preso le parti di Pyongyang  invitando Seul a smettere di provocare.  Ovvero va tutto bene e chi se ne frega se siamo di fronte a un regime dittatoriale allucinante. L’importante è difendere la sovranità popolare della Repubblica popolare di Corea garantendo stabilità a lungo termine e lunga vita ai suoi luminosi leader. 

Che i coreani vogliano da sempre ritornare uniti non importa. Meglio che sopravviva la cricca di dittatori che assicuri stabilità ad un paese isolato dal mondo, dove sono stati diversi, nonostante il silenzio, gli allarmi per carestie che hanno mietuto migliaia di vittime e dove persiste il dramma della malnutrizione. Insomma si muore di fame ma si hanno armi nucleari, con circa un quinto della popolazione attiva che fa il soldato.

Un popolo quello coreano diviso, dopo la fine della seconda guerra mondiale, tra il nord sotto il controllo dei russi e il sud con la presenza americana. Il fallimento dei tentativi di ricongiunzione portarono alla follia di una guerra (1950-53) terminata con un armistizio che non ha mai avuto un accordo di pace definitivo. La guerra fu la conseguenza del tentativo del nord filo sovietico di conquistare il Sud sotto l’influenza americana, dando il via ad una situazione di stallo che perdura. 

 I tentativi di riconciliazione, di dialogo, di distensione, che hanno caratterizzato alcuni recenti momenti (in particolare i grandi sogni legati agli incontri tra delegazioni dei due paesi nel 2018) in cui si poteva vedere un percorso di riavvicinamento per una  divisione che perdura da oltre 70 anni, sono sempre più  un ricordo per la crescente durezza e intransigenza del dittatore del Nord che , da qualche mese, ha ripreso a  minacciare sul piano militare, manifestando  l’esigenza di un rafforzamento del nucleare. 

Sono sempre incredibili nella loro coerenza questi dittatori che, sordi alla fame e al bisogno di unità del proprio popolo, sanno solo propendere per incredibili e magnifici successi legati allo sviluppo militare, anche sul piano nucleare. I nuovi equilibri geopolitici con il ritorno delle esasperazioni nazionalistiche e del fondamentalismo religioso, danno nuovo respiro a regimi in cui diritti civili e libertà sono negati. 

Ovviamente la popolazione è staccata dalle reti mondiali internet, esiste un sistema carcerario durissimo in cui abbondano i reclusi politici, tra controlli serrati e censure generalizzate. 

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