Le bande di criminali stranieri che a Torino si sono combattute violentemente per il controllo di attività illecite non hanno le caratteristiche dell’associazione di stampo mafioso.
E’ una delle considerazioni contenute nella sentenza con cui la Corte d’Appello, lo scorso 12 gennaio, ha assolto da questa accusa i 14 romeni imputati nel processo “Brigada”. Era la prima volta che in Italia veniva contestato a un gruppo di romeni il reato di tipo mafioso.
Ogni componente della banda aveva un tatuaggio, come simbolo di appartenenza, e compiti specifici: prostituzione, usura, clonazione delle carte di credito. I giudici hanno preso atto che “la violenza costituiva la cifra stilistica del sodalizio”, aggiungendo però che non ci sono prove del conseguimento di “una effettiva capacità di intimidazione”, nemmeno all’interno della comunità romena.
All’epoca era in corso uno scontro con una gang di albanesi per il predominio sulla prostituzione, sfociato nel tentato omicidio di Eugen Paun, un presunto boss di Brigada: ma proprio per questo, secondo la Corte, si deve concludere che i romeni non avevano ancora raggiunto “quella particolare forza” che porta “all’assoggettamento e all’omertà”.
Il capo di una delle bande albanesi aveva detto agli investigatori che Brigada aveva una “fama crescente” negli ambienti criminali, ma era “evidentemente interessato all’eliminazione per via giudiziaria” dei rivali. La pena più elevata (10 anni e 2 mesi) è stata inflitta a Paun. Le altre oscillano dai 6 anni e 4 mesi agli 8 mesi di reclusione e, nella grande maggioranza dei casi, al momento della sentenza risultavano già state scontate.