Negli anni 80 ebbe grande successo la serie americana tv “Supercar” (Knight rider) in cui il protagonista si confrontava con la sua auto parlante di nome Kitt (una Pontiac nera) capace di viaggiare anche da sola. Quanto avveniva in questo film potrebbe presto diventare realtà applicando le continue innovazioni legate al mondo dell’intelligenza artificiale. Ovvero quella rivoluzione in corso, dagli effetti rapidissimi e dirompenti, che affascina e preoccupa per il futuro dell’umanità, tra ottimisti e catastrofisti, tra ipotesi di sviluppo radioso per tutti e lo sviluppo di terribili contrasti anche bellici. C’è chi prevede che presto per l’80% dei lavori l’uomo non sarà più necessario, invocando un nuovo reddito universale. Anche sul piano politico c’è chi vede le nostre democrazie poco consone in un contesto dominato dall’iper efficientismo tecnologico. In tanta confusione si è distinta la voce di Papa Francesco.
Su questi temi abbiamo posto alcune domande a Sergio Bellucci, esperto di intelligenza artificiale, sociologia e comunicazione (autore del libro “AI. Un viaggio nel cuore della tecnologia del futuro, Ed Radici future, 2024), raccogliendo alcune sue valutazioni a Torino nel corso di un incontro.
Perché la Cina è in vantaggio?
“La Cina programma e investe tantissimo. Programma la formazione dei quadri impegnati nella ricerca, sfornando una quantità incredibile di ingegneri di alto livello, con un grande riconoscimento sociale e economico. Un quadro ben diverso da un’Europa in ritardo, in cui prevale il caos e dove ciascuno fa quello che vuole, rispetto a Pechino dove si opera all’interno di un quadro progettuale definito”.
E l’India?
“L’India non possiede le infrastrutture tecnologica della Cina ma ha una quantità enorme di informatici di alta qualità che sono complementari al mercato americano e anche quello cinese”.
Dietro questo quadro Bellucci evidenzia come l’embargo americano, sulle tecnologie occidentali verso oriente, abbia dato corso a un’autonomizzazione della ricerca cinese che è alla base di un processo detto di divergenza tecnologica. Una tendenza che, se portata avanti, potrebbe essere all’origine di forti contrasti e impedimenti tra i mercati che risulterebbero bloccati con una riduzione degli spazi commerciali.
Ci può spiegare meglio questa divergenza tecnologica?
“La separazione tecnologica è lo sviluppo di una tecnologia non compatibile con quella di un altro pezzo di mondo che, alla fine, nell’altra realtà non avrà spazio. Per fare un esempio è come una ferrovia a scartamento ridotto sulla quale non potranno certo circolare i treni a scartamento ordinario.
Alla Cina abbiamo impedito di aver i nostri binari e ora procedono con un loro modello. Un quadro che, a lungo termine, potrebbe essere all’origine di forti contrasti, anche se oggi il problema sono gli sviluppi di questa fase di transizione quanto mai complessa che potrebbe comportare una netta separazione tecnologica”.
Un processo non certo voluto dalla Cina?
“La Cina è stata costretta perchè gli abbiamo impedito di avere i nostri “binari”. Gli Stati Uniti, di fronte alla velocità e profondità di questo salto tecnologico, hanno imposto l’embargo sulle tecnologie di punta. Questo pareva, fino a un paio di anni fa, che avrebbe potuto determinare un arretramento dello sviluppo cinese. Pechino ha così avviato centri qualificati di ricerca autonoma che funzionano su logiche diverse dalle nostre e che pare abbiamo delle performance più elevate. Dopo anni che si è lavorato per l’interoperatività dei sistemi, per farli dialogare in un sistema libero ora questo nuovo processo sta apportando una divergenza a livello globale”.
Cina – Brics: nuovi possibili sviluppi geopolitici potrebbero isolare l’occidente
“Questo processo di autonomizzazione se si dovesse legare allo sviluppo dei paesi del Brics, con cui Pechino sta sviluppando accordi di sviluppo tecnologico, pone il rischio di un occidente isolato con una tecnologia che diverge dalle altre”.
Che succede in Italia e in Europa?
“Gli sviluppi globali su questo terreno ipertecnologico rendono oggi impietoso il confronto con l’Europa e soprattutto con l’Italia, in cui, oltre ai ritardi sul piano della formazione (con tanti ingegneri, scienziati dirigenti che se ne vanno all’estero), non sembra che le dinamiche dell’intelligenza artificiale siano davvero una priorità a parte convegni e propositi. Qui la priorità pare restare il sostegno a categorie legate al turismo non certo alla pianificazione tecnologica, tra ritardi burocratici e di mentalità. L’amara realtà è che l’impatto dell’AI esalterà e renderà drammatici contrasti e ritardi”. A tal proposito viene ricordata una frase di Gorbaciov: “la storia punisce chi arriva in ritardo”.
Questo a fronte di una nuova realtà basata su tecnologie potenzialmente in grado di ridisegnare nuovi equilibri sociali e nuove forme produttive, con un nuovo rapporto con l’ambiente. Una sorta di bacchetta magica in mano di poche persone in cui potrebbe prevalere l’interesse privato su quello generale.
Bellucci aggiunge un impietoso commento: “nella partita in corso sull’AI, l’Europa ha deciso di fare l’arbitro ma forse in realtà non sta nemmeno in sala Var”. “L’Europa non ha sviluppato una propria industria digitale. Una condizione che potrebbe essere alla base del suo declino. Ha privilegiato questioni normative per regolamentare il fenomeno invece di puntare sulla produzione, con ritardi nel gestire e seguire gli sviluppi della AI generativa. In Europa sull’IA la politica è di fatto assente”.
Per restare al passo e governare questo passaggio epocale Mario Draghi ha parlato della necessità di un colossale investimento europeo, proponendo un accelerazione dei processi di unione comunitaria. Questo mentre si addensano le nubi su democrazie occidentali alquanto in crisi e non così funzionali a tempi, contesti e decisionismo iper efficiente legato alle necessità di un mondo sempre più ipertecnologico, con molti interrogativi che restano aperti anche sul fronte politico.
“Se sull’AI l’Europa tentenna vi è un Papa Francesco che continua a ammonire e stupire” precisa Bellucci.
E’ significativo che proprio il pontefice sia uno che su questo tema si sia dimostrato particolarmente attento e concreto e, coerentemente con la denuncia su eccessi del consumismo e centralità dell’essere umano, abbia analizzato l’AI come strumento di una vera rivoluzione cognitivo industriale che contribuirà alla creazione di un nuovo sistema sociale caratterizzato da trasformazioni epocali, i cui sviluppi potrebbero portare a liberare l’uomo dai lavori usuranti (ma in molte realtà pare un obiettivo ancora molto lontano), democratizzando l’accesso al sapere o incrementando il distacco tra paesi avanzati e nazioni in via di sviluppo e tra classi sociali. L’Ai per il pontefice resta uno strumento che dovrebbe essere utilizzato per la costruzione del bene e per un domani migliore. Insomma con un costante controllo umano: nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita ad un essere umano”.
In conclusione teniamo a precisare che l’Italia , nonostante i ritardi, vanta importanti eccellenze come il supercomputer del tecnopolo di Bologna, permanga l’obiettivo di innescare il sospirato “rinascimento digitale”. Certo senza importanti, anzi molto importanti, e innovativi investimenti pubblici, come fu negli anni 50 60 per l’Autostrada del Sole, il nostro quadro generale complessivo permarrà alquanto arretrato.