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domenica, 8 Settembre 2024

Facebook e il giornalismo investigativo: un nuovo strumento per i casi di giustizia negata

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

di Moreno D’Angelo

Per ora unisce più di 2.400 persone che si confrontano ogni giorno, analizzano indizi, delineano scenari d’indagine, talvolta si accapigliano, non di rado forniscono prove attraverso foto o filmati. In gran parte gente comune appassionata di cold case e turbata dai delitti più efferati. In maggioranza sono donne. Ma anche criminologi, investigatori, medici legali, giallisti. Una partecipazione che continua a crescere e che sta aprendo una nuova frontiera informativa, al punto che i contenuti sono spesso citati in servizi televisivi. E’ questo il profilo del Gruppo Facebook denominato “Giornalismo Investigativo” costituito, nell’estate 2016, da Fabrizio Peronaci, da vent’anni capo della cronaca nera del Corriere della Sera, a Roma, nonché autore di libri-verità.
«Una sfida possibile e non il sogno di un giornalista idealista», è l’incipit della sua presentazione. Netta e chiara la missione del Gruppo: «Riallacciare i fili tra le persone, in un confronto leale e ove occorra critico con le istituzioni, al servizio di una società più giusta e solidale. Su tali principi il giornalismo d’inchiesta, libero da qualsiasi influenza, può assumere un ruolo centrale».
L’obiettivo concreto è aprire la porta a contributi importanti sui tanti casi di “giustizia negata”. Per Peronaci il giornalismo d’inchiesta è una “sfida  professionale ed etica” che non si ferma davanti agli intrecci e alle trame che caratterizzano tanti misteri italiani. Esempio eloquente è il lavoro da lui svolto tre anni fa, setacciando tra decenni di testimonianze e oscuri episodi, per la pubblicazione de “Il Ganglio”, una delle ricostruzioni più complete del movente e dei retroscena della scomparsa delle quindicenni Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Ma anche nel suo recentissimo “La tentazione” (Centauria), viaggio nei tormenti e nelle passioni in ambiente religioso, c’è stato lo “zampino” di fonti ben informate.
Abbiamo chiesto al giornalista-scrittore quale contributo il Gruppo investigativo sia finora riuscito a dare ai filoni trattati. A partire dal caso Ragusa, l’omicidio di una donna avvenuto 5 anni fa a Gello (Pisa), sul quale non sono mancate omertà e sono stati proprio gli indizi confluiti nel “blog” a dare impulso alle indagini.

Come è nato questo strumento d’inchiesta sul web?

Ci pensavo da tempo: il giornalismo in Italia non se la passa bene, in tutti i settori. Nella cronaca nera sono sempre più rari gli approfondimenti, il lavoro di scavo e ricerca, al fianco dei cittadini e nel nome della libertà di stampa. Un po’ perché gli spazi in un giornale, come normale, sono contenuti. Ma anche per una certa pigrizia, purtroppo dominante.

A chi si è ispirato nel costituire il Gruppo?

Ai cosiddetti muckrakers, i cosiddetti spalatori di letame, veri e propri miti del giornalismo d’inchiesta americano, che a inizio Novecento furono odiati dal presidente Theodore Roosevelt per gli scandali e le magagne che smascheravano. E poi ai colleghi celebrati nel film “Spotlight”, la squadra di cronisti testardi e coraggiosi che una quindicina d’anni fa, a Boston, denunciò il più colossale scandalo di pedofilia nella storia della Chiesa.

Il fatto di esprimersi su uno strumento come Facebook non può far emergere ostacoli dovuti alla marea di mitomani ed esaltati?

Va premesso che questo impegno integra e arricchisce il lavoro svolto al giornale, fornisce un valore aggiunto. Certo, la democrazia della Rete, che è una conquista epocale da salvaguardare, espone a rischi. Occorre quindi una continua vigilanza, che realizziamo grazie all’apporto di collaboratori motivati ed esperti. Ma ancora di più sono necessari scrupolo e rigore per valutare gli elementi di novità che arrivano, magari sotto falso nome, in relazione a indagini aperte. In quasi un anno, mi è giunta una sola lettera di rettifica di uno studio legale. Mentre moltissimi spunti sono finiti in fascicoli giudiziari.

Minacce, tentativi di intimidazione?

La trasparenza mette al riparo da pressioni. Chi si confronta con il Gruppo di GI sa che il materiale raccolto è in qualsiasi momento a disposizione dell’autorità inquirente. Anche il fatto che molti contenuti siano ripresi da trasmissioni televisive ha chiarito a eventuali malintenzionati che qui si fa sul serio. È un’occasione in più, una piazza a disposizione di chi rispetta le regole, nella quale riportare in auge un giornalismo forte e fiero della sua autonomia.

Quali sono i contributi più interessanti ricevuti?

Sul caso Ragusa sei testimoni informati dei fatti hanno fornito indizi sulla dinamica del delitto e sull’occultamento del corpo della poveretta. Le dichiarazioni di una vigilessa che rivelò un incendio sospetto in un boschetto sono state poste a verbale. Sul caso Orlandi, è invece in corso una verifica delicatissima, legata alle novità riferite da un alto prelato, oggi ultraottantenne, che nel 1983 raccolse testimonianze molto precise: secondo lui, Emanuela fu vittima di un gioco di ricatti tra due fazioni contrapposte all’ombra del vaticano, al tempo della guerra Fredda, e Marco Accetti, il teste indagato e poi prosciolto, fu usato come pedina operativa. Infine, sono giunte novità anche sull’omicidio di Marta Russo. Una commerciante romana ci ha scritto di recente per segnalare ciò che sa e molti hanno sempre pensato: il proiettile era diretto non a Marta ma a un ragazzo che le era vicino e sia Giovanni Scattone sia Sasà Ferraro, i ricercatori universitari condannati, sarebbero estranei.

Come si spiega il successo di adesioni?

Con un fatto confortante: in Italia, nonostante tutto, la domanda di notizie serie, precise e tempestive è ancora alta. L’informazione resta pilastro di una democrazia e la gente ne è consapevole. Per questo il ruolo di noi giornalisti è importante: non perdiamo mai il gusto di lavorare per bene, con passione civile e rigore, ispirati alla regola delle 5 W e senza soggezioni nei confronti di qualsiasi potere.

Più che i pareri di esperti, il Gruppo raccoglie rivelazioni da testimoni che emergono dall’ombra. In tal modo, lavora al di fuori dei canali istituzionali di avvocati e pubblici ministeri. Quali potranno essere gli sviluppi?

Il rischio di una crisi per la troppa crescita è concreto. Stamattina si è iscritta Mariagrazia Colletta, la sorella del ragazzino ucciso nel 1992 a Palermo, le cui indagini sono state bloccate da omertà scandalose. Per proseguire al meglio, stiamo allargando lo staff fino a una decina di persone, con la collaborazione di una criminologa salernitana e di giovani blogger con il pallino del giornalismo.

Il suo ultimo libro, “La tentazione”, ha usufruito dei contributi del Gruppo?

Sì, il primo contatto è venuto da un messaggio riservato. ‘Vai a vedere quel che accade nella chiesa dei carmelitani scalzi. Qualcosa di terribile’, mi scrisse la fonte. Poi il libro ha avuto il suo sviluppo: dagli incontri gay a Villa Borghese si passa al racconto di una professoressa romana che è stata la compagna di vita, per 36 anni, di un insigne ecclesiastico. Una confessione choc, che ripropone il tema ben noto anche a papa Francesco di un possibile superamento del celibato ecclesiastico.

 

Articolo pubblicato sul numero cartaceo di Nuovasocietà del 15 maggio 

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