Ha parlato Francesco Furchì per circa un’ora, durante l’udienza preliminare. Lui è accusato di essere il killer che ferì l’ex candidato sindaco dell’Udc, Alberto Musy. Il consigliere comunale morirà dopo 19 mesi di coma.
Nell’aula del Palazzo di Giustizia di Torino c’era attesa. Furchì si è sempre dichiarato innocente. Sostiene di non essere lui l’uomo con il casco da motociclisa ripreso dalle telecamere prima che Musy cadesse sotto il colpi di automatica, mentre usciva di casa, in via Barbaroux, il 21 marzo 2012. Secondo l’accusa Furchì avrebbe sparato per tre ragioni: la vendetta perché l’esponente dell’Udc non fece nulla per una raccomadazione del figlio di un politico suo amico per un posto all’università; non aveva ottenuto una carica in Comune dopo le elezioni; il mancato impegno della vittima nel sostenerlo nella scalata alla società ferroviaria Arenaways.
Come dicevamo Furchì ha preso la parola, davanti al presidente dell’ufficio gip-gup Francesco Gianrotta. Un’udienza preliminare che si tiene dopo che il capo di imputazione è stato modificato da tentato omicidio a omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
«Sono innocente – ha detto Furchì – e proseguirò lo sciopero della fame iniziato da un mese. Non ho paura di guardare negli occhi nessuno». Infatti l’imputato da diverse settimane rifiuta il cibo per protesta.
«I tre moventi che la procura mi attribuisce – continua Furchì – non esistono. Sono povero ma sono una persona perbene».
Durante il procedimento anche l’Università del Piemonte Orientale, dove insegnava Alberto Musy, si è costituita parte civile. «Lo facciamo – ha detto Paolo Garbarino, rettore all’epoca del delitto e ora incaricato dall’Ateneo – per difendere la memoria di Musy, che era un professore stimato da tutti i colleghi, e stare vicini alla famiglia in questa difficile situazione processuale».
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