Non ha dubbi Valentina Zancan, uno degli avvocati di parte civile al processo per l’omicidio a Francesco Furchì, l’uomo accusato dell’omicidio di Alberto Musy: il responsabile del gesto sarebbe il faccendiere, che quel giorno si sarebbe anche creato un falso alibi.
«La vita di Alberto è stata interrotta troppo presto e siamo certi che il responsabile sieda in quest’aula» ha detto il legale rivolgendosi all’unico imputato per l’assassinio del consigliere comunale, gravemente ferito sotto casa il 21 marzo 2012 e morto dopo diciannove mesi di coma.
«La schiena dritta di Musy – ha continuato l’avvocato – è nel cuore e nella mente di tutti noi. Non deve passare l’idea che la vittima se la sia cercata: Alberto ha detto di no alle richieste avanzate da Furchì: forse sarebbe stato più semplice dire di sì e toglierselo di torno, ma i suoi rifiuti sono stati fermi e perentori».
Così il faccendiere si sarebbe, appunto, creato «un falso alibi, uscendo furtivamente dagli dagli uffici di via Garibaldi da dove stavano facendo il trasloco dell’associazione Magna Grecia». Il legale ha poi smentito l’ipotesi che Furchì non si ricordi cosa ha fatto il 21 marzo 2012, perché «quella non era una mattinata qualunque. Il giorno di un trasloco non lo è mai, ma abbiamo anche l’eccezionalità di un evento che a Torino non ha pari: hanno sparato a un avvocato, che Furchì conosceva, in pieno giorno. Furchì non può dirvi quello che ha fatto quella mattina perché è certamente responsabile dell’omicidio di Alberto Musy». In questo contesto, sostiene la Zancan, lo spegnimento del cellulare fu «un fatto anomalo» e «volontario».