La rabbia, l’intolleranza sono i “fondamentali” (per usare il gergo sportivo), gli ingredienti di base che caratterizzano il fenomeno dei Forconi, anche se nel contesto giocano non marginalmente altri fattori tipici della società dello spettacolo, del protagonismo, del culto della persona autoreferenziale, del “pur che si parli di me” indipendentemente dalla qualità del giudizio. Ciò che conta è l’audience.
In più si devono aggiungere componenti tipicamente di estrema destra sempre pronta a cavalcare ogni “parva favilla” in chiave antidemocratica, diciamo pure eversiva.
Sarebbe un grave errore, però, non cogliere nella protesta catalogata sbrigativamente dei Forconi e che coinvolge diverse categorie di cittadini il disagio sociale vero e profondo, presente tra i titolari di negozi commerciali, gli ambulanti, i cosiddetti “padroncini” del settore dell’autotrasporto, taxisti, piccoli imprenditori agricoli.
Le velleitarie nonché contraddittorie intenzioni manifestate dai promotori alla vigilia della protesta del 9 dicembre scorso a quanto pare si sarebbero un po’ corrette. Alcuni equivoci personaggi che invocavano la ribellione con l’uso delle mazze e delle pietre, l’insediamento di un nuovo governo temporaneo con figure militari di riferimento, la pratica della violenza con i blocchi stradali per paralizzare le città, gli sproloqui con toni razzisti contro “banche sioniste”, sarebbero stati emarginati.
Staremo a vedere come si svolgeranno le manifestazioni indette per domani 10 gennaio, soprattutto quale sarà il comportamento delle forze dell’ordine e delle autorità da cui dipendono che rappresentano sul territorio lo Stato e sono chiamate a far rispettare la Costituzione della nostra Repubblica.
Torino non ha bisogno, per usare un’espressione di Luigi La Spina pubblicata il 10 dicembre su “La Stampa”, di «un’altra Waterloo».
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