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mercoledì, 18 Settembre 2024

Il 12 ottobre si semina il futuro, ma non gli OGM

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Vanna Sedda
“Chi mal semina, mal raccoglie”, dice il proverbio. Non è certo questo l’obiettivo del progetto “Seminare il futuro” che domenica 12 ottobre vedrà coinvolti bambini, adulti, giovani, famiglie e gruppi di amici per una semina collettiva con sementi OGM free in 38 aziende biologiche e biodinamiche sparse su tutto il territorio nazionale. In Piemonte sono 3 le aziende che hanno aderito all’evento: la cooperativa agricola Terra e Gente di Albugnano, in provincia di Asti, l’azienda agricola Ivo Bertania di Cissone, provincia di Cuneo, e l’azienda agricola biodinamica La Raia di Novi Ligure.
L’iniziativa, giunta in Italia alla sua quarta edizione, è nata in Svizzera nel 2006 da un’idea di Ueli Hurter, agricoltore biodinamico, e di Peter Kunz, selezionatore di cereali biologici. Lo scopo è quello di creare consapevolezza sulla provenienza del cibo e sul futuro dell’agricoltura, trascorrendo una giornata insieme nella natura, a contatto con chi lavora la terra. Presso le aziende ospitanti, sarà possibile seminare a mano cereali, anche di varietà antiche quali il Senatore Cappelli o il Gentil Rosso, come si faceva un tempo, con un gesto concreto e fortemente culturale e simbolico. Dai semi infatti nasce la vita, e quelli che verranno sparsi domenica non sono stati selezionati secondo regole di manipolazione genetica, a sostegno e difesa della biodiversità, per ribadire il no agli OGM e ai brevetti delle multinazionali. In Europa si discute ancora la revisione della legge sulle sementi, in un mercato in cui cinque multinazionali presenti anche nell’agrochimica, tra cui la famigerata Monsanto, controllano più del 95% del mercato dei semi con un impatto negativo sugli agricoltori, l’agro-biodiversità e la sicurezza alimentare. La proposta della Commissione Europea che avrebbe impedito agli agricoltori di scambiarsi le sementi e li avrebbe sottoposti a un pesante controllo sulle coltivazioni, fortunatamente è stata bocciata, ma la questione rimane ancora aperta. C’è in gioco quella che si chiama sovranità alimentare, ossia il diritto di ogni popolo di decidere e avere il controllo su quel che si coltiva e si mangia sul proprio territorio, di stabilire le proprie politiche agricole in base alle proprie necessità nutrizionali, economiche, culturali ed ecologiche. «Questo diritto è fondamentale per il benessere di un popolo, quel benessere che non si misura con il Pil ma con strumenti ben più accurati e scientifici» dice Carlo Petrini, fondatore dell’associazione Slow Food, in un articolo pubblicato qualche giorno fa su Repubblica «si misura andando a rilevare la quantità di glifosato presente nelle acque di falda, si misura monitorando le incidenze di determinati tipi di tumori, si misura rilevando le competenze alimentari diffuse tra le giovani generazioni, si misura in termini di identità, quella stessa identità che rende così economicamente rilevante il nostro Made in Italy, il quale – e parlo da gastronomo – non si valuta all’atto della vendita o della degustazione, non inizia quando ci si siede a tavola davanti a un piatto. Il Made in Italy quando un agricoltore decide cosa seminare e sceglie un seme che a sua volta ha una storia, un’identità e un legame con un luogo».

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