È il giorno di Matteo Renzi. Quello che ha sempre aspettato, quello che ha costruito con meticolosità, come un ragno tesse la sua tela.
Sarà il nuovo presidente del Consiglio, il terzo non eletto dal popolo italiano. Insomma Demolition man, come lo ha definito il Finacial Times, raccoglie consensi.
Da Torino, Sergio Chiamparino dice la sua: «La forza di un governo può venire o dal consenso elettorale o da un grande gioco di squadra. Non c’è il primo, serve il secondo».
Il Chiampa in un primo momento aveva detto che la staffetta non era una buona idea e anzi sarebbe stato un passo falso da parte del sindaco di Firenze, e aveva auspicato «un gioco di squadra con Letta fino al prossimo anno e poi il voto».
Ora però che il dado è tratto, il candidato alla poltrona della Regione Piemonte non resta che ritornare nei ranghi e spasmodicamente dare il suo appoggio al suo leader: «Renzi, evidentemente, conosce meglio la situazione – spiega ora – e sapeva che si erano logorate le condizioni per poterlo fare, così ha deciso di giocarsi tutto. Gli faccio i miei auguri e mi aspetto una squadra e un programma coi fiocchi. Servono tempi rapidi, sennò il modo in cui è avvenuta l’operazione potrebbe ritorcersi contro la sua credibilità».
Poi però l’ex presidente della Compagnia di San Paolo torna a parlare della sua città e della sua regione. Il day after alle primarie per la segreteria del Pd in Piemonte che ha dato la palma al renziano Davide Gariglio, parla dei rimborsi per i gruppi politici regionali.
«Come nelle aziende – spiega – chi si deve muovere per la sua attività politica sarà rimborsato, non dal suo gruppo ma dall’ufficio del Consiglio, per il resto basta l’indennità che è già alta».
«Come dimostra l’affluenza in Sardegna (in cui c’è stato un crollo del 50% ndr) – aggiunge l’ex sindaco – con gli scandali si è già persa così tanta credibilità nelle Regioni, c’è disillusione, spaesamento. Le istituzioni regionali hanno toccato il punto più basso, ora non si deve promettere, ma fare».
«Non sono andato a fare il banchiere. La Compagnia ha il 9% di Intesa, ma non è una banca: ha un patrimonio che investe prevalentemente in attività da cui ricava al netto delle imposte 130 milioni che poi distribuisce in attività benefiche, ricerca, cultura. E io ho rispettato la forma, appena c’è stato un segnale dalla politica mi sono dimesso, al buoi, prima della sentenza del Consiglio di Stato su Cota. E sfido a trovare un solo atto della Compagnia influenzato direttamente o indirettamente da scopi politici».
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