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Scritto da Vittorino Merinas

Una nuova grana si è abbattuta sulla chiesa italiana con la recente dichiarazione della Corte costituzionale circa la non punibilità di chi aiuta al suicidio una persona che, in ben precisate situazioni, lo richieda. Un intervento che i vescovi speravano di scansare grazie ad un tempestivo intervento del Parlamento su un tema che s’accoda alla legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, da loro ancora questionata. Speranza delusa e nuova rogna da gestire giacché le Camere dovranno legiferare tenendo presenti le indicazioni della Consulta. Resta il piccolo conforto che quelle sono più controllabili di quest’ultima. Inevitabile, però, un rinnovato scontro con la società civile, in buona parte, credenti compresi, ormai stanca d’una chiesa per lo più contraria ad ogni prospettarsi di nuovi diritti. Nell’attesa che il Parlamento si metta in moto e che i due fronti aprano i fuochi, qualche considerazione in margine.

1°- E’ da tempo che la chiesa va ripetendo che le sta a cuore “la dignità della persona”, che “la vita è sacra”, che va difesa contro “la cultura della morte dal concepimento fino alla morte naturale”. Una litania insistente, come l’accantonata antifona sui “valori non negoziabili”, che si concretizza in una costante azione politica per scolpirla nella vita sociale. L’origine di questo sacro impegno va cercato nel veterotestamentario comandamento del “Non uccidere”, reso positivo nell’evangelico “Amore fraterno”, a cui giungere partendo dal minimale aforisma: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. Qui è tutto il vangelo, che i cristiani dei primi secoli rigorosamente vivevano, spesso irrorandolo del proprio sangue. Poi, impero e chiesa s’appacificarono facendo coabitare croce e spada, nel comune impegno di difendere i confini, ormai sacri, dai nemici esterni e dar morte agli interni disturbatori di leggi e usanze ormai condivise dai due simbiotici poteri. La morte data non inquietò più la chiesa, purché sancita per “giusta” causa. E quando la chiesa s’arrogò un proprio Stato, la pena di morte fece capolino nella sua legislazione e fu attiva fino a quando Pio IX dovette deporre la corona regale. Ma ricomparve nel 1929, nel ricostituito “Stato della Città del Vaticano”, infine cancellata da papa Wojtyla, che, però, la mantenne nel Catechismo postconciliare da lui voluto. Toccherà a Francesco ridestare la chiesa dall’ultrasecolare assopimento sul biblico comandamento. Era l’11 ottobre 2017, quando, celebrando i 25 anni del Catechismo wojtylano, solennemente dichiarò: “Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. È in sé stessa contraria al Vangelo.”. Rivoluzione dottrinale che portò, nell’agosto 2018, alla riformulazione del § 2267 del Catechismo: “La Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”.

2°- E’ curioso che ogni qualvolta la chiesa è risvegliata dal suo passatismo dal vagito d’un nuovo diritto culturalmente maturato e rivendicato, si butti immantinente nelle braccia dell’istituzione statale. Sarà un riflesso condizionato indotto dalla secolare simbiosi di croce e spada, ma è condotta costante riapparsa alla recente dichiarazione della Corte costituzionale. “Io cerco dialogo per tutelare la vita… Avremo un confronto, spero, con il governo di Giuseppe Conte, ma lo faremo attraverso le associazioni dei laici”, ha annunciato il segretario della Conferenza episcopale italiana. Un’esternazione che induce una spiegazione dei termini. “Confronto” sta per scontro; “dialogo” è presentazione della verità cui la controparte deve accedere; “associazioni dei laici” è paravento, piuttosto ipocrita, d’una gerarchia che non deve apparire politicizzata. In realtà, si tratta della discesa in politica più sua che non del popolo di Dio, a dimostrazione della debolezza  sociale del suo dottrinarismo anacronistico che offusca la forza attrattiva della proposta di vita che freme nel vangelo.

3°- Il Concilio Vaticano II emise una Dichiarazione sulla libertà religiosa che ribaltò le condanne senz’appello delle libertà di religione e di coscienza sancite da Gregorio XVI e Pio IX. Un ribaltamento a ben vedere solo dottrinale dal momento che la chiesa continua a chiedere allo Stato di farsi crociato dei suoi principi, quasi si fosse in piena cristianità. Certo oggi non può più opporsi al pluralismo di fedi e culti, ma la libertà di coscienza le permane ostica. Con un’eccezione, però: quand’essa è favorevole a lei ed ai suoi affiliati per esimersi da civici doveri. Non che se ne infischi, ma spesso sorvola sui diritti altrui, con l’aggravante di sottrarsi alle ultime, fondamentali parole di Gesù ai suoi: “Andate in tutto il mondo e proclamate la buona novella a tutte le creature”.

Proclamate, non imponete! Alla chiesa la sua missione, allo Stato i suoi doveri.

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