È meglio parlarne adesso. Di una grande opera per cui nessuno si accalora, perché non lascia piramidi ai posteri né busti di marmo ai suoi artefici. Ma che potrebbe aiutare i nostri figli a vivere un po’ meglio. E non come oggi con i piedi nel fango e la testa altrove. Le immagini dell’Italia piegata dalla pioggia, la basilica di San Marco invasa dall’acqua, con il Mose frenato da corrosione e cozze, ci ammoniscono per l’ennesima volta: il Paese è fragile. Morti e devastazioni si susseguono a ogni autunno e a ogni primavera con un’accelerazione insostenibile. E solo per una casualità il Piemonte questa volta non è tra le regioni messe peggio.
Dobbiamo fare qualcosa, che non sia soltanto mettere una toppa lì dove si è aperto un buco. Servirebbe una strategia di manutenzione, del tutto opposta alla filosofia dell’emergenza , sapendo che certe cose possono anche durare poco, cinque o dieci anni e poi essere rifatte come si rifà un intonaco, altre che devono durare di più. Ed accantonare i soldi per il turno successivo. Pensare a un grande cantiere, questo sì, senza sosta per riqualificare l’ambiente, pulire i fiumi o i boschi, ridare respiro alle aree cementificate e abbandonate. Il senso di appartenenza a questa nazione dovremmo dimostrarlo anche verso la nostra terra tanto bella quanto precaria.
Quattro comuni su cinque sono a rischio, la provincia di Torino dopo quella di Napoli è la più sofferente dal punto di vista geologico. In Piemonte 1046 comuni su 1206 hanno qualche area in pericolo. E allora è meglio parlarne adesso, che piove in modo sempre più duro a causa del clima che cambia, e che gli occhi sembrano puntati soltanto sulla Tav. Da troppi decenni ormai ci siamo staccati dalla terra su cui posiamo i piedi e ci pare che tutto sia possibile, costruire nell’area di esondazione di un fiume, costruire e poi abbandonare capannoni e strade, seconde e terze case, alberghi e resort.
La tecnica in questo caso non ci aiuta, ci facilita il compito bendandoci gli occhi. E invece per una volta proviamo a guardare dove camminiamo. Il territorio ha bisogno di cura costante. Non è qualcosa di eterno e acquisito per sempre. Proprio come la democrazia.