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martedì, 3 Dicembre 2024

Territorio e democrazia, senza cura affondano

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

È meglio parlarne adesso. Di una grande opera per cui nessuno si accalora, perché non lascia piramidi ai posteri né busti di marmo ai suoi artefici. Ma che potrebbe aiutare i nostri figli a vivere un po’ meglio. E non come oggi con i piedi nel fango e la testa altrove. Le immagini dell’Italia piegata dalla pioggia, la basilica di San Marco invasa dall’acqua, con il Mose frenato da corrosione e cozze,  ci ammoniscono per l’ennesima volta: il Paese è fragile. Morti e devastazioni si susseguono a ogni autunno e a ogni primavera con un’accelerazione insostenibile. E solo per una casualità il Piemonte questa volta non è tra le regioni messe peggio.
Dobbiamo fare qualcosa, che non sia soltanto mettere una toppa lì dove si è aperto un buco. Servirebbe una strategia di manutenzione, del tutto opposta alla filosofia dell’emergenza , sapendo che certe cose possono anche durare poco, cinque o dieci anni e poi essere rifatte come si rifà un intonaco, altre che devono durare di più. Ed accantonare i soldi per il turno successivo. Pensare a un grande cantiere, questo sì, senza sosta per riqualificare l’ambiente, pulire i fiumi o i boschi, ridare respiro alle aree cementificate e abbandonate. Il senso di appartenenza a questa nazione dovremmo dimostrarlo anche verso la nostra terra tanto bella quanto precaria.
Quattro comuni su cinque sono a rischio, la provincia di Torino dopo quella di Napoli è la più sofferente dal punto di vista geologico. In Piemonte 1046 comuni su 1206 hanno qualche area in pericolo. E allora è meglio parlarne adesso, che piove in modo sempre più duro a causa del clima che cambia, e che gli occhi sembrano puntati soltanto sulla Tav. Da troppi decenni ormai ci siamo staccati dalla terra su cui posiamo i piedi e ci pare che tutto sia possibile, costruire nell’area di esondazione di un fiume, costruire e poi abbandonare capannoni e strade, seconde e terze case, alberghi e resort.
La tecnica in questo caso non ci aiuta, ci facilita il compito bendandoci gli occhi. E invece per una volta proviamo a guardare dove camminiamo. Il territorio ha bisogno di cura costante. Non è qualcosa di eterno e acquisito per sempre. Proprio come la democrazia.

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