Ferguson non trova pace. La città del Missouri, che con l’uccisione del giovane Michael Brown l’estate scorsa ha riportato all’attenzione mondiale il problema della discriminazione raziale negli Usa, sta vivendo una nuova recrudescenza di violenza. Nella notte due agenti sono stati feriti da colpi di arma da fuoco esplosi davanti al dipartimento di polizia della città. L’episodio è avvenuto dopo la mezzanotte ora locale, nel corso di una manifestazione pacifica seguita alle dimissioni del capo della polizia, Thomas Jackson.
Fonti interne alle forze dell’ordine hanno riferito alla Cnn che i due agenti, 32 e 44 anni, sarebbero stati colpiti rispettivamente al volto e a una spalla e non sarebbero in pericolo di vita, ma le loro condizioni restano comunque gravi. Entrambi erano coscienti quando sono stati soccorsi e trasportati in ospedale.
L’episodio di violenza di questa notte è solo l’ultimo di una lunga serie per la cittadina del Missouri, assurta contro la sua volontà a simbolo delle discriminazioni razziali dell’America contemporanea e segnata nelle ultime settimane da una serie di eventi che hanno fatto salire alle stelle la tensione già molto alta tra agenti e popolazione afroamericana.
«Non penso che quello che è accaduto a Ferguson sia tipico di ciò che accade nel Paese, ma Ferguson non è un caso isolato», aveva tuonato il sette marzo scorso Barack Obama da Selma, in Alabama, dove si trovava per commemorare il 50esimo anniversario della tragica marcia per promuovere il diritto di voto degli afroamericani. Il presidente alludeva al rapporto sulla polizia di Ferguson diffuso il cinque marzo scorso dal ministero della giustizia statunitense, che denunciava l’utilizzo di metodi violenti e illegali da parte delle forze dell’ordine della cittadina, soprattutto a discapito della popolazione di colore.
Il dossier in particolare rileva che gli agenti (in prevalenza bianchi) dimostrano un accanimento particolare nei confronti delle persone di colore (il 67% della popolazione totale), ricorrendo ad abusi e violenze sistematiche e «dimostrandosi inclini a interpretare l’esercizio del diritto di libera espressione come disobbedienza, movimenti non aggressivi come minacce, casi di disagio mentale o fisico come azioni aggressive». A Ferguson, sempre secondo il rapporto del ministero della giustizia, il 90% delle operazioni in cui la polizia ha usato la forza tra il 2012 e il 2014 ha visto coinvolti afroamericani.
«Penso che ci siano circostanze nelle quali la fiducia tra le comunità e le forze dell’ordine si è deteriorata – ha precisato a Selma il presidente Obama – E credo che singoli individui o interi dipartimenti di polizia nel Paese potrebbero non aver ricevuto la giusta formazione».
Nel frattempo la corte suprema del Missouri ha deciso il trasferimento di tutti i casi del tribunale municipale della cittadina alla corte d’appello. Si tratterebbe di una azione straordinaria che tenta di ripristinare la fiducia tra i cittadini e il sistema giudiziario locale, a seguito delle dimissioni del giudice municipale Ronald J. Brockmeyer, accusato di ripetute violazioni del diritto costituzionale.
«La corte municipale non ha agito come arbitro neutrale della legge e non è intervenuta per fermare le pratiche illecite della polizia», si legge nel rapporto del dipartimento di giustizia, accusato tra le altre cose di utilizzare sistematicamente i mandati d’arresto per costringere le persone a pagare una cauzione per uscire dal carcere e trarne profitto.
Dopo quella di Brockmeyer altre teste sono cadute a Ferguson: prima quella del direttore generale della città di Ferguson, John Shaw, che avrebbe dovuto controllare e sanzionare il comportamento discriminatorio della polizia denunciato dal dipartimento di giustizia; poi quelle del capo della polizia stesso Thomas Jackson. È vano per ora chiedersi se qualcosa si stia muovendo nella direzione giusta, quel che è certo è che è in corso una decisa opera di “pulizia”.