Caso Orlandi, nei giorni in cui si torna a parlare di un esito tragico (la morte di Emanuela nelle prime ore, dopo essere stata vista a bordo di una Bmw verde all’Aventino), sul web va in scena un confronto paradossale e senza precedenti. È quello tra Pietro il fratello della ragazza con la fascetta, e Marco Accetti, il fotografo presunto rapitore (reo confesso) indagato per omicidio e sequestro di persona nel 2013 e prosciolto due anni dopo, con l’archiviazione dell’inchiesta.
Il paradosso è presto detto: la giustizia italiana ha alzato bandiera bianca sul giallo più inquietante degli ultimi decenni, smettendo di indagare, ma una mole impressionante di indizi sulla fine di Emanuela e anche su quella di Mirella Gregori (sparita un mese prima, nel maggio 1983) continua a dividere e appassionare l’opinione pubblica, insieme a vittime e protagonisti della vicenda.
Lo scontro tra Pietro Orlandi e Accetti va avanti da tempo ma, nelle ultime ore, ora ha superato ogni limite di guardia. È quanto emerge dal loro infuocato botta e risposta sviluppato sul Gruppo Fb “Giornalismo Investigativo” fondato dal giornalista Fabrizio Peronaci e diventato un efficace spazio di approfondimento sui grandi misteri italiani.
«La tua superficialità, il dilettantismo farebbero pensare che ti sia stata rubata la macchina piuttosto che una sorella. Mi fai domande su Internet e i tuoi avvocati non mi hanno mai cercato», ha attaccato Accetti. Replica di Pietro: «Finiscila con questo comportamento da professorino, che tratta gli altri da idioti e rientra nella tua categoria da criminale…».
La disputa tra fratello e rapitore reo confesso si incentra su tre elementi: le rivelazioni di un monsignore contenute nel blog “La Tentazione” del giornalista del Corriere della Sera, la presunta telefonata dei rapitori della Orlandi in Vaticano la sera stessa del sequestro (22 giugno 1983) e il contenuto del nastro (ritrovato a suo tempo in via della Dataria) che su un lato conterrebbe frasi e lamenti di Emanuela e sull’altro la voce di Accetti che legge un lungo comunicato.
La novità della telefonata del 22 giugno è stata ripresa da Andrea Purgatori, su La7, e Marco Accetti l’ha definita una “mega balla”. A quel punto è partita la disputa sul gruppo “Giornalismo Investigativo”.
«Quella telefonata ci fu e ho conferme attendibilissime – conferma a Nuova Società Pietro Orlandi – È strana tanta premura in Vaticano per una ragazzina non tornata a casa su cui ancora si ventilava l’idea di una scappatella. Il Papa fu prontamente informato mentre stava tornando a Roma da un viaggio in Polonia assieme al cardinale Casaroli e la cosa portò Wojtyla nei giorni successivi a lanciare un appello ai rapitori». Immediata la risposta.
«Orlandi – incalza Accetti – non ci fu alcuna telefonata quel 22 giugno. Pubblica le prove per sostenere il contrario, ma non puoi assolutamente farlo perché non facemmo alcuna telefonata». A cui il fratello di Emanuela replica: «Infatti, nessuno ha detto che sei stato tu a telefonare». Il paradosso di un ex indagato messo al torchio per anni dalla Procura, che parla tranquillamente in Rete della sua azione criminale, è evidente.
Ma non è finita qui. La nuova testimonianza di un monsignore ultranovantenne, sulla quale Peronaci sta svolgendo ulteriori approfondimenti («a luglio andrò a Bolzano per delle verifiche molto delicate», preannuncia il giornalista), potrebbe aprire uno squarcio definitivo sulla vicenda e confermerebbe la tesi di una Emanuela portata subito verso il Nord Italia (passando per Bologna) e morta in circostanze ancora non chiare.
«Voglio conoscere – commenta Pietro – il nome di questo monsignore e contesto alcuni dettagli come quello di Emanuela affetta da congiuntivite. Dopotutto, se hai ancora timori a metterti in pubblico non vai a parlare con i giornalisti».
E aggiunge: «Io avrei contattato la famiglia o sarei andato in Procura. Ricordo che in questi 35 anni di presunti testimoni e strani personaggi ne ho incontrati tanti, ma prove concrete sul destino di Emanuela non se ne sono mai viste».
“lasciatemi dormire”
Ma perché è stata rapita?
«Emanuela – spiega il fratello – non è stata presa a caso e, tra le tante ipotesi, trovo molto realistica quella che punta ai fondi destinati al sindacato polacco Solidarnosc e ai traumatici rapporti tra Ior e Banco Ambrosiano con l’intervento della mafia, la banda della Magliana. Per questo ho chiesto, tramite il mio legale, di aver un contatto con quello che definisco “l’Andreotti della mafia”, ovvero Pippo Calò, rinchiuso nel carcere di Opera».
Ed eccoci al tema più esplosivo e divisivo: i nastri agli atti dell’inchiesta, ormai chiusa, contengono la voce di Emanuela? Il primo, consegnato alla famiglia, è quello in cui la quindicenne ripete come in un mantra il suo nome e la scuola che frequenta (seconda liceo scientifico del Convitto Vittorio Emanuele II); il secondo (riapparso nel settembre 2016) è l’inquietante cassetta in cui si sentono i lamenti di una ragazza che sembra oggetto di sevizie, (qualcuno ha ipotizzato scosse elettriche).
«Potrebbe anche essere lei – risponde Orlandi – specie quando dice “lasciatemi dormire”, ma intanto ribadisco che in quella registrazione drammatica con i lamenti di una ragazza sono state rimosse tre voci maschili (con accento romanesco, ndr), che io ho rilevato essere presenti nelle trascrizioni. Mi chiedo perché questi personaggi siano stati nascosti. Ebbene, chi sostiene (Accetti) di aver avuto un ruolo perché non fornisce i nomi o informazioni su questi tre personaggi che erano con lui? Certo, oggi non è possibile confrontare il nastro con la voce della ragazza e ho anche dei dubbi sull’autenticità della voce di Accetti». Resta il fatto, però, che in televisione il fratello di Emanuela si disse certo che la voce fosse quella del fotografo indagato.
Pietro ricorda una circostanza in cui i due si incontrarono per una trasmissione a La7 e il fotografo gli confidò: «Ma io come posso dire tutta la verità? È gente pericolosa». Si tratta di una sorta di ammissione di maggiori e tragiche responsabilità, in un momento di spontaneità? Orlandi, nel blog di Fabrizio Peronaci, entra nel merito e propone una sorta di interrogatorio al reo confesso. Insomma il fratello di Emanuela costretto a mettersi nei panni di un pubblico ministero, un ennesimo segnale della debolezza della giustizia in particolare su questa inchiesta.
«Marco Accetti, non rispondi più? Quando ti si mette in difficoltà preferisci sorvolare? Con le tue dichiarazioni dimostreresti di sapere molto su quella cassetta. Puoi aiutarmi a capire o no spiegando come fu fatta questa cassetta e di chi erano quelle voci? Dovresti sapere che l’audio che conosciamo tutti, che stava in Procura e ha una durata di circa tre minuti, è ridotto di molto rispetto all’originale. Per questo ascoltandolo si sentono continue interruzioni tra un lamento e l’altro. Ora se puoi rispondere a queste dubbi te ne sarei grato. Di chi erano le voci maschili? Eri presente al momento che si registravano le sofferenze di quella ragazza, chiunque essa sia? Puoi descrivere l’ambiente dove questa ragazza ha subito queste torture? Le registrazioni di queste torture, riversate poi nell’audiocassetta lasciata in via della Dataria, in quale luogo sono state fatte?».
Passano pochi minuti e l’ex indagato replica, con toni pesanti. «Orlandi, mi raggela il fatto che tu mi chieda notizie delicate all’interno di un forum, e non piuttosto in un incontro privato possibilmente insieme a altre persone competenti. La superficialità, il dilettantismo farebbero pensare che ti sia stata rubata la macchina che non piuttosto una sorella».
Accetti è sferzante. Ma è la frase successiva che conta di più e andrebbe soppesata: «Stiamo parlando del possibile omicidio di due ragazze – scrive infatti l’ex sospettato di duplice omicidio – e tu mi fai le domande per Internet. I tuoi avvocati non mi hanno mai cercato, non hanno probabilmente parlato con Capaldo ma tu te ne vai in giro con Faenza ed ora fai il credulone con questo giornalista (Purgatori, ndr) che ti fa credere che esista una telefonata effettuata il 22 giugno, senza alcuna prova. E ribadisco che nessuno potrà mai assolutamente dimostrare che ci sia stata una telefonata, perché noi unici responsabili non l’abbiamo mai effettuata».
Immediata controreplica di Pietro: «Ti ho fatto delle domande, se vuoi rispondere bene, altrimenti dimostri tu di essere una persona superficiale… Finiscila con questo comportamento da professorino che tratta gli altri da idioti, rientra nella tua categoria da criminale della quale sembri vantartene, perché chi rapisce una ragazza è un criminale giusto?».
Basterebbe questo frammento di richiesta accorata del fratello di Emanuela per comprendere come su tanti punti cruciali e soggetti coinvolti, l’indagine avrebbe potuto fare molto di più.
Le domande senza risposta restano. A partire da quelle che riguardano il destino dell’altra ragazza, rapita a Roma il 7 maggio 1983 e mai più ritrovata, Mirella Gregori, alimentate dalle novità emerse nel gruppo Facebook “Giornalismo Investigativo”.
Cosa pensa la famiglia Gregori dell’ipotesi che Mirella abbia accettato di restare nascosta per una settimana in un appartamento in zona Anagnina, in cambio di un motorino Ciao? Fu grazie a questo tranello ai danni di una ingenua quindicenne che i responsabili della doppia azione riuscirono a esercitare i loro ricatti sul Vaticano? La Gregori, effettivamente, da casa in via Nomentana si allontanò volontariamente, dicendo una bugia alla madre. Forse era già d’accordo con qualche malintenzionato, senza capire il pericolo? Sui sospetti relativi a questi malintenzionati non vi sono mai stati adeguati approfondimenti.
Giallo Orlandi-Gregori a una svolta? Tra tante scintille, un fatto è certo: il desiderio di verità e giustizia, soffocato negli uffici giudiziari con la pietra tombale posta dal procuratore Pignatone sull’inchiesta, nelle coscienze della gente comune non si ferma. Qualcuno che sa e che è stato costretto a tacere potrebbe decidersi finalmente a parlare.